Il convegno della Fondazione Cesare Pozzo “La mutualità in rete per un nuovo welfare” si è svolto a Bologna il 22 ottobre u.s. ed ha posto al centro della riflessione la mutualità, protagonista nella costruzione di una rete per un nuovo welfare inclusivo e solidale.
Ha aperto i lavori il presidente della Fondazione Cesare Pozzo per la mutualità, lo storico Stefano Maggi (Università di Siena), che ha ricordato l’origine ottocentesca delle società di mutuo soccorso, associazioni di scopo che fornivano aiuti di varia natura ai propri soci. Le società di mutuo soccorso si formarono su base territoriale o professionale ed erano basate sul principio della fratellanza operaia – termine proveniente dalla fraternité della Rivoluzione francese – e sulla volontà di “organizzarsi da soli e dal basso”, un modo di pensare, ha ricordato Maggi, “diverso da quello di oggi e che andrebbe riscoperto. Siamo troppo abituati ad aspettarci che le soluzioni ai problemi debbano arrivare dall’alto”. Maggi ha poi effettuato un excursus sui significati che i termini mutualismo, mutualità e mutuo soccorso hanno assunto nel corso del tempo, confrontandoli e contestualizzandoli nella storia contemporanea.
Franca Maino (Università di Milano), direttore del laboratorio di ricerca “Percorsi di secondo welfare”, ha invece messo in relazione il mutualismo e il welfare, essendo il primo una delle risposte alle criticità mostrate dal sistema di welfare pubblico italiano (bassa natalità, elevati tassi di invecchiamento, bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, prestazioni sbilanciate su previdenza e sanità e pochi servizi per anziani e infanzia, rischio elevato di povertà e assenza di mobilità sociale). Il risultato, secondo Maino, sono categorie a rischio (giovani, donne, anziani, immigrati) e bisogni non tutelati dal welfare tradizionale (conciliazione vita-lavoro, non autosufficienza, nuove povertà, solitudine). Il welfare tradizionale è basato sulla domanda individuale che non viene aggregata e i suoi costi sono spesso riversati sulle famiglie. Le risposte devono essere “l’innovazione e la rete fra i vari soggetti attori pubblici e privati e i destinatari delle prestazioni”. In altre parole, ha sostenuto Maino, “occorre cambiare il paradigma, grazie a una ridefinizione dei rapporti pubblico-privato, l’innovazione e l’investimento sociale, il rafforzamento dei destinatari delle misure e dei soggetti erogatori”, fra i quali figurano le società di mutuo soccorso. In sostanza è necessario “fare rete, mettendo insieme attori diversi per un welfare sempre più integrativo e territoriale”. Le reti rispondono ai bisogni e sono di stimolo allo sviluppo sociale e territoriale. È questo un modo di “riattualizzare il concetto di mutualità e di mutualismo”. Nello specifico le società di mutuo soccorso, come la Mutua sanitaria Cesare Pozzo, sono protagoniste di questa rete per un nuovo welfare e possono svolgere un importante ruolo in diverse aree: sanità integrativa, assistenza per le persone non autosufficienti, collaborazioni col mondo dell’associazionismo, incontro tra domanda e offerta nell’assistenza familiare, creazione di connessioni tra bisogni (aggregazione della domanda) e connessioni tra servizi.
Il giurista del lavoro Luca Nogler (Università di Trento) ha invece illustrato come la mutualità sia stata declinata nel settore artigiano, attraverso gli enti bilaterali, organismi paritetici fra associazioni datoriali e sindacali, sorti per fornire servizi e sostegni a imprese e lavoratori, non solo in senso strettamente sanitario. Nogler ha comunque messo in luce una importante criticità dei fondi sanitari costruiti a partire dai contratti collettivi, vale a dire il fatto che essi “accompagnino il lavoratore solo fino al pensionamento”. “Questa parte della rete – ha aggiunto – può pensare di sopravvivere solo se entrerà in relazione con gli altri attori, vincendo le resistenze corporative che spesso esistono”. Le società di mutuo soccorso possono offrire infatti una risposta ai limiti evidenziati per i fondi sanitari contrattuali.
Vera Negri Zamagni (Università di Bologna), storica dell’economia, ha ragionato su come l’assunto antropologico “Homo homini natura amicus” (l’uomo è per natura amico degli altri uomini) presente alla nascita dell’economia di mercato moderna nelle città stato-medievali, si sia trasformato nel suo contrario “Homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo) dell’economia del capitalismo avanzato. Per tornare all’assunto originario, distintività dell’economia occidentale, “mutualismo e cooperativismo possono tornare a svolgere un ruolo fondamentale”. Zamagni è partita dalla considerazione che “il welfare è nato insieme all’economia moderna e non è nato statale. Era un welfare civile che coinvolgeva tutti gli attori sociali”. “L’Uomo è un giano bifronte” ha affermato Zamagni, è cruciale però capire su che lato dell’Uomo si vuole fare leva. Il capitalismo è andato nella direzione dell’Homo homini lupus, verso “l’idea che la ricerca dell’utile proprio sia vantaggio all’intera società”, un’impostazione che ha avuto un grandissimo sviluppo con la deregolamentazione dell’economia. “In un sistema deregolamentato vince il più forte”, un tale sistema però crea danni sempre più grandi: distruzione di comunità, distruzione dell’ambiente, crisi economiche acute. Tanto che, anche all’interno dello stesso mondo capitalistico, si è incominciato ad ammettere che l’obiettivo non può essere la massimizzazione del profitto. Per Zamagni oggi è “il momento buono per agire per chi ha sempre portato avanti un altro modo di fare economia”. In passato mutue e cooperative erano diventate marginali perché lo Stato, attraverso la regolamentazione, si era assunto il compito di bilanciare il sistema capitalistico. Oggi però lo Stato non è più in grado di farlo, “sia per mancanza di risorse, sia perché le vere decisioni sono spesso prese dagli stessi poteri capitalistici”. “La società civile deve quindi attivarsi. Società di mutuo soccorso, cooperativismo e sindacalismo sono stati gli strumenti più efficaci messi in campo per impedire l’asservimento delle persone alle logiche del profitto”. È una sfida che va raccolta e che necessita anche di competenze manageriali.
Nella seconda parte della giornata ha presieduto i lavori Placido Putzolu, presidente Fimiv – Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria, il quale ha ricordato i limiti dei fondi sanitari integrativi originati dai contratti collettivi: spesso essi hanno una logica sostitutiva del Servizio sanitario nazionale e le protezioni terminano con la vita lavorativa. “In ciò – ha aggiunto – le società di mutuo soccorso si distinguono, in chiave prevalentemente integrativa e coinvolgendo i dipendenti anche al momento del pensionamento”.
Nel sua relazione, Guido Bonfante (Università di Torino), avvocato esperto di diritto cooperativo e presidente della Fondazione centro per lo studio e la documentazione delle Società di Mutuo Soccorso, ha rilevato le “difficoltà di coniugare principi mutualistici ed efficienza dell’impresa” e le differenze di mutualità fra cooperative e mutue sanitarie. Partendo dalle modifiche normative introdotte dal Codice del Terzo Settore e dalla gerarchia delle fonti normative per le mutue, secondo Bonfante “anche le mutue possono svolgere attività in forma imprenditoriale”. L’espresso divieto della legge di riferimento va letto nel senso che “le mutue non posso svolgere attività di impresa in forma lucrativa”. Si apre perciò per le mutue sanitarie la possibilità di un’ampliamento indiretto delle aree di intervento, grazie a “rapporti sinergici con altri enti del Terzo settore”, come le imprese sociali o le cooperative sociali. In sostanza, la mutualità in rete mutualità in rete per un nuovo welfare. Bonfante ha concluso il suo intervento sottolineando il ruolo della mutualità mediata per lo sviluppo del moviemento mutualistico, consentendo anche alle piccole mutue di “aumentare le prestazioni ai propri soci e di ampliare la base sociale. Per favorire la crescita del mutuo soccorso – ha dichiarato – è importante coinvolgere i giovani e ampliare le attività, senza stravolgre le caratteristiche distintive del mutuo soccorso”.
Ha chiuso il convegno il vicepresidente della Fondazione Cesare Pozzo, il sociologo Mario Giaccone (Università di Torino), che è partito dall’assunto che “definire i concetti di mutualità, aiuta a fare chiarezza su chi siamo e sulle prospettive”. “Le definizioni di mutualismo – ha proseguito Giaccone – sono talmente eterogenee che rivelano un’assenza di definizione”. Secondo Giaccone è importante partire dal lessico perché il mutualismo cambia di significato a seconda delle discipline e delle pratiche (cooperative, società di mutuo soccorso). Seguendo l’impostazione metodologica del sociologo Max Weber, Giaccone ha voluto da un lato mostrare come il mutualismo sia un principio molto ampio che informa una vasta gamma di organizzazioni con finalità economica e sociale, e dall’altro proporre alcuni criteri di demarcazione rispetto a operatori spuri. Per far questo ha voluto identificare una serie di “ingredienti” del mutualismo: “la sua natura – le persone -, il fine – fronteggiare le incertezze legate a risorse economiche chiave, il metodo – una combinazione di azione economica e attività associativa”. I valori “sono quelli della solidarietà condivisa” e l’organizzazione è “incentrata sulla persona e non sull’apporto di capitale (una testa, un voto)”.
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